venerdì 29 novembre 2013

L'isola non trovata... In attesa che finisca la bonaccia. Presentato il n. IV della rivista culturale “GeaArt”

Di Aristide Fiore
Il tavolo dei relatori.
Il tavolo dei relatori (foto: A. Fiore).
[Pubblicato su ROMA Cronaca di Salerno e provincia, 4 aprile 2013, p.27.]
“L'isola non trovata”, l'espressione presa in prestito da una canzone di Francesco Guccini, è il tema del quarto numero della rivista “GeaArt”, bimestrale di cultura, arti visive, spettacolo e nuove tecnologie creative, presentato martedì presso la galleria Il Catalogo di Salerno. Sono intervenuti i giornalisti Gigi Casciello e Gabriele Bojano e l’artista Eliana Petrizzi moderati da una brillante Lucia D’Agostino. La rivista diretta da Massimo Bignardi, prodotta a Salerno,  riesce tuttavia ad avere una visione ampia, aperta al panorama nazionale e internazionale. Secondo Gabriele Bojano, rispetto a tante proposte che si sono rivelate effimere, ha il pregio di non essere nata “a dispetto di qualcuno o di qualcosa” e indubbiamente colma un vuoto, in quanto i temi e gli argomenti che affronta non troverebbero spazio analogo sulla stampa locale, che tendenzialmente emargina la cultura e lo spettacolo ed esclude la critica, pressoché assente nei quotidiani salernitani, sebbene da queste colonne forti segnali contrari non siano mai mancati, anzi incoraggiati dalle ampie vedute del suo direttore e dei suoi redattori. Da questo punto di vista “GeaArt” potrebbe costituire un fattore trainante. Secondo Gigi Casciello una proposta culturale è tale se riesce a elevare una comunità. Essa è valida quando riesce a superare il provincialismo. È dello stesso avviso anche Massimo Bignardi, secondo cui l'appartenenza a un luogo non conta: come scrive Marc Augé: “Lo spazio è geometrico, il luogo è antropologico”: il luogo si determina cioè mediante le relazioni. Da questo punto di vista Il catalogo è un “luogo” nel senso pieno, che da quattro decenni contribuisce alla formazione di generazioni di studiosi, intellettuali e persone desiderose di aprire una prospettiva. Ed è per questo che è stato scelto per la presentazione di una rivista che aspira a soddisfare una domanda culturale al di fuori dell'ambito accademico, spesso autoreferenziale e lontano dalla collettività. “GeaArt” non nasce dal desiderio di realizzare qualcosa che manca a Salerno, ma dalla voglia di operare nella cultura con uno sguardo ampio, che non insegua l'internazionalità ma sappia vedere il locale in rapporto col globale, come mostra, proprio in questo numero, il contributo di Attilio Bonadies su Giorgios Seferiádis (in arte Gorgos Seferis), premio Nobel per la poesia nel 1963, che nell'ottobre del 1944, mentre si trovava a Cava dei Tirreni insieme al Governo greco in esilio, scrisse la poesia “Ultima tappa”. Sulla stessa linea procedono gli interventi di tutti i collaboratori della rivista: da Pasquale De Cristofaro, che si occupa di Vsevolod Mejerchol'd e dell'avanguardia teatrale russa, a Gemma Criscuoli, che nelle sue recensioni di spettacoli teatrali tratta con la stessa autorevolezza eventi che hanno luogo lontano dal nostro territorio, ed Elio Di Pace, che firma un servizio dal Festival del Cinema di Berlino. Naturalmente l'intento di abbracciare orizzonti più ampi determina anche l'apertura alla collaborazione di studiosi di altri paesi e comporta una visione che va al di là delle frontiere nazionali, grazie a contributi come quello sul Mali di Eliana Petrizzi, secondo cui trattare il tema del viaggio è un modo di prendersi cura delle cose e del mondo che ci è stato affidato, o la testimonianza di Lucia Caterina e Andrea Manzo sul Museo de “L’Orientale” di Napoli, che custodisce reperti archeologici provenienti da varie aree del mondo. In definitiva, non serve vagheggiare un luogo felice, nel tempo o nello spazio, dove la sete di cultura si possa placare: l'isola non è stata trovata e non bisogna cercarla più. Occorre solo lasciare che il vento nuovo spiri.

sabato 16 novembre 2013

La poesia per una democrazia degli oggetti

Copertina del volume "La vita dei bicchieri e delle stelle".Di Aristide Fiore
[Pubblicato su Le Cronache del salernitano, venerdì 15 novembre 2013, p. 9.]
Costruire poesia nel luogo comune è difficilissimo. A maggior ragione, se si pensa alla facilità musicale del verso di Grattacaso, che richiede in realtà una lunga elaborazione.” Così lo scrittore Diego De Silva lo scorso 8 novembre, presso la Galleria “Il Catalogo" di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, a colloquio con l'autore nel corso della presentazione del volume di poesia “La vita dei bicchieri e delle stelle” di Giuseppe Grattacaso, edito da Campanotto, ne ha illustrato il pregio e i contenuti.
In questi componimenti viene stabilita una sorta di “democrazia degli oggetti”, una dimensione in cui cucchiai, sedie, città, stelle morenti hanno pari dignità, hanno coscienza di sé e nel rivelarla il poeta tenta di indagare sulla condizione umana attraverso il rapporto che abbiamo con essi. Non si tratta di uno sguardo nostalgico, lamentoso. Due sono le armi che lo impediscono: la rima, che determina accostamenti insoliti, delle vere e proprie collisioni fra parole dalle quali può scaturire un significato inatteso, che permette di deviare dal banale; l'ironia, anch'essa generata, in molti casi, dalla rima, che sottrae l'oggetto della poesia a uno sguardo nostalgico, consolatorio, che ne rovinerebbe l'effetto.

Diego De Silva e Giuseppe Grattacaso.
Diego De Silva e Giuseppe Grattacaso
(foto: A. Fiore).
I versi compresi in questa raccolta, attraverso un approccio divertito, quasi scanzonato, rivelano in realtà uno sguardo profondo, che indaga su questioni fondamentali, come l'eterno contrasto tra anima e corpo, tra mente e anima, tra finitezza e anelito all'eterno. È uno scrutare che abbraccia un campo immenso, sospeso tra due poli ideali: gli oggetti quotidiani e quelli astrali, ovvero tra la quotidianità, la base sicura su cui poggia la nostra esistenza, e la realtà cosmica, che di quell'esistenza costituisce la premessa, almeno dal punto di vista fisico, naturale. Su questo terreno Grattacaso tenta efficacemente il recupero di un aspetto che ritiene la poesia abbia perso di vista: la ricerca della verità; o almeno della propria versione della verità, di quanto gli è dato di cogliere. Non è infatti importante, sottolinea De Silva, che l'opera poetica o musicale – e quella in esame è in un certo senso entrambe le cose – aggiunga davvero un tassello di verità alla nostra conoscenza del mondo: ciò che conta è che abbia il potere di illudere, di indurre a pensare: “non so se sia proprio così, però è bello”. In ogni caso, aggiunge lo scrittore, la verità si coglie a tratti, al punto che bisognerebbe parlare di “incidentalità del reale nel testo”. Ed è proprio per rendere persuasiva questa narrazione della realtà attraverso le cose più semplici e quelle più lontane e per favorirne la permanenza nella memoria, che la “disinvolta musicalità” di questi versi “quasi cantabili” ammalia il lettore, spingendolo a scoprire negli altri lo stesso legame affettivo che ci unisce a ciò che ci circonda: se riconosciamo di essere istintivamente predisposti a conferire un'anima, una personalità alla tazza con la quale cominciamo le nostre giornate, forse saremo maggiormente disponibili a riconoscere il valore profondo di ogni altra cosa o persona che ci circonda. Ma l'esercizio di autocoscienza non si ferma a questo punto: nelle Quartine d'agosto il divertissement sui luoghi comuni raggiunge l'apice e si fa strumento efficace di critica sociale.