[Pubblicato
su Le Cronache del salernitano, venerdì 15 novembre 2013, p. 9.]
“Costruire
poesia nel luogo comune è difficilissimo. A maggior ragione, se si
pensa alla facilità musicale del verso di Grattacaso, che richiede
in realtà una lunga elaborazione.” Così lo scrittore Diego De
Silva lo
scorso
8 novembre, presso la Galleria “Il Catalogo" di Lelio Schiavone e
Antonio Adiletta, a colloquio con l'autore nel corso della
presentazione del volume di poesia “La vita dei bicchieri e delle
stelle” di Giuseppe Grattacaso, edito
da Campanotto, ne ha illustrato il pregio e i contenuti.
In
questi componimenti viene stabilita una sorta di “democrazia degli
oggetti”, una dimensione in cui cucchiai, sedie, città, stelle
morenti hanno pari dignità, hanno coscienza di sé e nel rivelarla
il poeta tenta di indagare sulla condizione umana attraverso il
rapporto che abbiamo con essi. Non si tratta di uno sguardo
nostalgico, lamentoso. Due sono le armi che lo impediscono: la rima,
che determina accostamenti insoliti, delle vere e proprie collisioni
fra parole dalle quali può scaturire un significato inatteso, che
permette di deviare dal banale; l'ironia, anch'essa generata, in
molti casi, dalla rima, che sottrae l'oggetto della poesia a uno
sguardo nostalgico, consolatorio, che ne rovinerebbe l'effetto.
Diego De Silva e Giuseppe Grattacaso (foto: A. Fiore). |
I
versi compresi in questa raccolta, attraverso un approccio divertito,
quasi scanzonato, rivelano in realtà uno sguardo profondo, che
indaga su questioni fondamentali, come l'eterno contrasto tra anima e
corpo, tra mente e anima, tra finitezza e anelito all'eterno. È uno
scrutare che abbraccia un campo immenso, sospeso tra due poli ideali:
gli oggetti quotidiani e quelli astrali, ovvero tra la quotidianità,
la base sicura su cui poggia la nostra esistenza, e la realtà
cosmica, che di quell'esistenza costituisce la premessa, almeno dal
punto di vista fisico, naturale. Su questo terreno Grattacaso tenta
efficacemente il recupero di un aspetto che ritiene la poesia abbia
perso di vista: la ricerca della verità; o almeno della propria
versione della verità, di quanto gli è dato di cogliere. Non è
infatti importante, sottolinea De Silva, che l'opera poetica o
musicale – e quella in esame è in un certo senso entrambe le cose
– aggiunga davvero un tassello di verità alla nostra conoscenza
del mondo: ciò che conta è che abbia il potere di illudere, di
indurre a pensare: “non so se sia proprio così, però è bello”.
In ogni caso, aggiunge lo scrittore, la verità si coglie a tratti,
al punto che bisognerebbe parlare di “incidentalità del reale nel
testo”. Ed è proprio per rendere persuasiva questa narrazione
della realtà attraverso le cose più semplici e quelle più lontane
e per favorirne la permanenza nella memoria, che la “disinvolta
musicalità” di questi versi “quasi cantabili” ammalia il
lettore, spingendolo a scoprire negli altri lo stesso legame
affettivo che ci unisce a ciò che ci circonda: se riconosciamo di
essere istintivamente predisposti a conferire un'anima, una
personalità alla tazza con la quale cominciamo le nostre giornate,
forse saremo maggiormente disponibili a riconoscere il valore
profondo di ogni altra cosa o persona che ci circonda. Ma l'esercizio
di autocoscienza non si ferma a questo punto: nelle Quartine
d'agosto il divertissement sui luoghi comuni raggiunge l'apice e si
fa strumento efficace di critica sociale.
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